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Larco della notte

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L’arco della notte

schiocca grappoli di zagare

.

Dentro di lei tutto è possibile

in questo inverno privo d'identità,

dove il tempo non ha dimensioni

oltre quella umorale di un cielo

che piange senza la dignità del gelo

.

Si prende a sguazzo

dal lago dei sogni.

 

<Altro>

da un volto scavato,

che solo il mento ha liberato

a tremulo passo per volta

cieca la bocca

 Sara Cristofori - 12/12/2014 15:39:00 [ leggi altri commenti di Sara Cristofori » ]

è la notte la grande liberatrice, di lacrime e sogni, spesso conforta ma quasi sempre è bugiarda...

 Ferdinando Battaglia - 12/12/2014 12:48:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

Ha ragione Cristina quando dice che la tua poesia è generativa, perché germoglia continuamente significati significativi; personalmente credo anche che sia una poesia fortemente intellettuale, cioè nasca da un’intelligenza filosofica e da un’intelligenza particolarmente desta ed acuta. Chiaramente tutto ciò è solamente la premessa dell’atto creativo propriamente artistico, la ricchezza della mente incontra le qualità e le capacità percettive e sensoriali nonché la sensibilità dell’anima, quella sottile ed invisibile e non quantificabile membrana spirituale che vibra, segnala e s’impressiona di tutto ciò che l’attornia di significativo per se stessa e lo conduce alla lavorazione artigiana della mente dell’artista che dell’anima ne è il dimorante. Quali ne sono i segni di tutto questo? Analizziamo le parole che compongono il testo, un “dizionario elsiano” che mi conduce all’esperienza tutta interiore della Bellezza.
“L’arco della notte/schiocca grappoli di zagare”, un arco fiorito è l’immagine più cantica che prelude l’ingresso dei sensi nel notturno “lago dei sogni”, ma un preludio che non manterrà purtroppo alcuna promessa se l’“inverno privo d’identità” è un pianto che non si glorifica neppure con la “dignità del gelo” e in un “tempo che non ha dimensioni” sostanziali ma solo quelle umorali ed occasionali di una pioggia non voluta, non cercata, inappagante, poiché alla fine si rimane con un presente nutrito soltanto dal sogno c solo può essere irrealmente “<Altro> da un volto scavato, /che solo il mento ha liberato/a tremulo passo per volta” che lascia – e qui per me c’è tutta la tua bellezza e grandezza poetica, qui sempre a sfiorare il capolavoro - “cieca la bocca”.
Ora il lettore si assume la paternità rischiosa delle proprie interpretazioni, un azzardo che con questa tua – come sempre con te – vivo volentieri perché “innamorato” dei tuoi versi, mi porta a dire che, tra le varie ipotesi (o mie proiezioni) scelgo quella dell’amore passionale, fissando però la premessa alla chiusa, poiché affidare la vista alle labbra, quasi a confonderla con il gusto è un capolavoro d’”immagine”, che può leggervi nel verso o il mutismo quasi disperante della solitudine affettiva (e questa in fondo è la mia interpretazione) ovvero invece il felice amplesso di un bacio.
Concludo, Elsa, per non tediarti oltre e non tediare i tuoi lettori, con la sottolineatura di come l’atmosfera notturna, l’interno di una stanza, gl’interni più in generale siano i “luoghi tipici” tipici della tua poetica, quasi vi sia racchiusa la sua cifra di lettura.

Grazie, Elsa. Con ammirazione.

 Silvia De Angelis - 12/12/2014 12:34:00 [ leggi altri commenti di Silvia De Angelis » ]

Una scrittura poetica inedita, e complessa, che lascia trapelare, nei suoi versi, un senso di profondo malessere
Sempre bello leggerti, un saluto, Elsa, silvia

 Cristina Bizzarri - 12/12/2014 10:04:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

... e rileggendola aggiungo che <altro> ne è la cifra e la chiave di volta, il ribaltamento che dice, sì, l’impossibilità di un ritorno (o di un arrivo, che è lo stesso), ma contemporaneamente un inaudito ...
Ecco, mi sembrava di dovertelo/dovermelo dire ... :)

 Cristina Bizzarri - 12/12/2014 09:44:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Una poesia che leggo a piani sfasati, come in un trompe l’œil, dove sembra di passare da un piano all’altro, ma in realtà il passaggio non c’è, è una prospettiva finta.
Così si rimane contemporaneamente fermi in diverse dimensioni - anche qui, solo apparentemente tre mentre sono molte di più - e in ognuna avvolti da una sensazione di nostalgia e di ineluttabilità che incastrano, rinchiudono, togliendo la possibilità di scorgere passaggi, trait d’union che permettano di tenere in mano un capo del filo. Per trovarsi o ritrovarsi. Così avviene che quella che sembra una voce sola è invece una polifonia, e quel "cieca la bocca" è l’impossibilità di vedere, attraverso la narrazione, il mito intero di te, di lei, di noi tutti (tutte). Un destino racchiuso in una chiusa bellissima. Ma il trompo l’œil non smette di ingannare, e forse, proprio per quella sua prospettiva impossibile, ci dice l’inaudito.
Sara, mi sono lasciata trasportare da questa tua poesia che trovo, oltre che bella, interessantissima perché "generativa" di significati che non smettono di ramificarsi.
È proprio vero che una poesia può entrarci dentro diventando nostra, metabolizzata da un mondo all’altro.
Grazie!
Ciao.

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